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episcopus adveniens, eos ab hoc vinculo absolvit et ad altare eos reconciliavit, ubi una mulier et duo viri statim exanimati sunt. Alii autem a tribus continuis noctibus doluerunt, quidam vero penam suam perpetuo tremore cordis protendunt. Contigit hoc in quadam villa Saxonie. - Hoc etiam valet ad inobedientiam' (col. 138). Nella traduzione citata è determinato anche l'anno 'de nostre Senyor M.X.'.

La danza maledetta formò già argomento di dotte ricerche. Basterà ricordare quelle dello Schröder e di G. Paris.1 La sede del miracolo sarebbe stata Kölbigk in Sassonia, quanto al santo Main, Mang o Magno bisogna riconoscere che è nel numero dei semi ignoti. Gli scrittori del tempo hanno avuto anche cura di indicarci la data del fatto e cioè l'anno 1020-1021, questa data però ha subito col tempo notevoli alterazioni. Ricordano i citati critici le versioni del Malmesbury, dello Speculum historiale ed altre parecchie, nonchè un ms. latino della Nazionale di Parigi del XII sec. di mano tedesca. Quì i danzatori sarebbero stati 26 uomini ed una sola donna di nome Mersuit. Elinando, che attinge ai Gesta rerum anglorum, determina come data l'anno 1012 'in quadam villa Saxoniae ubi erat ecclesia Magni, martyris'. Il prete chiamasi Roberto, i ballerini sono diciotto fra cui tre donne ed anche qui s'ha un prete ed una figlia di prete, la quale ultima danza ed il fratello volendo fermarla 'brachium avulsit'. È noto che ancora Gregorio VII non aveva imposto rigorosamente il celibato agli ecclesiastici. Per qualche cambiamento di data e di numero dei danzatori, gioverà ricordare anche una versione dataci dal D'Outremeuse; quella dello Specchio di essempi è traduzione dallo Speculum histor.2

1 Schröder, Die Tänzer von Kölbigk in Zeitschrift für Kirchengeschichte vol. XVII, anno 1896. G. Paris in Journal des Savants (Les danseurs maudits), dic. 1899, p. 733-747.

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Specchio di essempi ed. cit. p. 13. Nell' anno decimo di Enrico secondo imperatore, in una villa nel paese di Sassonia, dove era una chiesa dedicata à S. Magno...' Il D'Outremeuse (IV, p. 223—24) racconta alla sua volta: 'Sour l'an milh et XL avient I grant mervelhe et I vielhe en la conteit de Richemborch; ilh avoit I prestre en chesti vilhe qui disoit messe I jour de Noiel, et avoit nom Robert; si avient que I jovenez hons, qui astoit nommeis Obers, atout XVIII compangnons et XXIIII jovenez femmes, commencharent à treschier et danseir en I cymetier asseis pres où ilh disoit messe, et le disturbarent durement; si les mandat dire une fois, et le seconde et le thierche, que ilh vousissent desisteir et laisier le danseir; mais onques ne le vorent faire et dansoit toudis. Atant dist li prevoste: Et je prie Dieu, si vraiement que je l'ay tenut en propre personne entre mes mains, qu'ilh ne sessent l'espanse d'on an à mener teile vie. Et demorarent là, de chel heure jusqu'al chief del an, à chel heure semblante, qu'ilh ne pluist onques sour eauz et ne furent onques leur vestimens empiriés; mains al treppeir qu'ils faisoient, fisent I cercle en terre jusques ces genols, et apres jusquez as espallez, et puis jusques as

Notevoli sono le critiche e peggio dei predicatori del tempo ai piaceri di Tersicore. Nel libro de apibus, si espone una narrazione, che ha qualche punto di contatto colla danza maledetta. A Colonia, si noti il luogo, 'anno praesenti' cioè nel 1258, è vista come una lunga processione di demoni vestiti da monaci bianchi, che ballano allegramente e così 'chorizando procedebant ad Renum' nel quale poi precipitano e scompaiono.1 E il Cantipretense ricorda varie punizioni di danzatori impenitenti de choreis vitandis', 'de muliere choreis addicta infeliciter mortua' 'de tripudiantibus submersis' 'de saltatrice subito mortua'. Leggesi in Guglielmo Paraldo una violenta invettiva contro i balli 'de choreis et quam malum sit ducere eas' dimostrato 'multis testimoniis scripturarum'3 e Cesario cita la 'vetula, quae per choream verbum crucis a magistro Arnoldo prolatum impediens et irridens, infra triduum defuncta est'. Alla sua volta, Etienne de Bourbon racconta: 'cum quedam mulier chorea duceret, quidem sanctus vidit demonem super caput ejus saltantem et ad saltum ejus caput dicte mulieris circumvolvi et agitari in dancia diaboli.'5

Altrove, Etienne de Bourbon cerca di dimostrare come le ragazze che ballano offendono i sette sacramenti mettendo in ridicolo le processioni e vilipendendo la serietà del matrimonio. Meglio è, esclama Jacques de Vitry, che lavorino la domenica, perchè in tale guisa esse offendono Dio, in una sola maniera. Quanto alle danze che, seguendo un'antica usanza, si facevano nel sagrato delle chiese o nei cimiteri, non occorre dire se l'esecrazione fosse maggiore. I preti scacciavano i ballerini anche a suon di mano. Nella vita dei santi Nereo e Achilleo, racconta Jacobo da Varazze, seguendo in particolar modo la storia ecclesiastica di Eusebio, Aureliano per usar violenza a una santa, ordinò a certi suonatori di suonare e ad altri cortigiani di danzare. Ma quelli che avevano cominciato a muover le gambe non potevano più fermarle e lo stesso Aureliano dovette ballare due giorni intieri.

chiefs: et quant li ans fut passeis, l'archevesque de Colongne, qui avoit nom Herbers, les absolut et les ostat; mains ilh y avoit I filhe d'on prestre, qui morut tantost; et li altres dormirent III jours et III nuis sens envoilhier, puis morurent.' Per altri ballerini, di cui le membra sono mosse lubricamente dal diavolo, vedi Notices et extraits (XXXIV, p. p. 431 art. P. Meyer e riscontri) e per la punizione delle danze e per i diavoli che le guidano, Pauli (1. c. es. 383, 385, 388 e nota p. 516).

1 1. c. p. 568. 2 ibid. p. 451, 452, 453.

3 Guglielmo Paraldo, Summae virtutum ac vitiorum, II vol., Lugduni,

1585, p. 68.

183.

1. c. p. 226, per l'es. che segue p. 168 e Pauli (nota indic.).

6 Vedi Lecoy de la Marche, La chaire franç., Parigi, 1886, p. 446 sgg.

La narrazione di queste danze forzate fa correre il nostro pensiero, sebbene si tratti di relazione indiretta, a quelle storielle di strumenti magici, che fanno muovere le gambe di quanti li odono e di cui tanto si favoleggiò in Oriente ed in Occidente.

Ecco, per esempio, il piffero di un racconto popolare udito da Emmanuel Cosquin in Lorena, che suonato da certo gobbo, costringe alla danza un orco ed una principessa in un castello fatato.1 Ecco un'altra versione, nelle novelle tedesche raccolte dai Grimm, 2 ed altre ancora in un racconto fiammingo,3 in racconti brettoni e nella letteratura orale della Francia. 5

Fuori di Europa, incontriamo altri strumenti non meno meravigliosi. C'è, nei Contes populaires de la Kabylie du Djurdjura, un suonatore di flauto che fa saltare, come spiritati, coloro che l'odono ed un altro flauto, che costringe a correre, risuona pure nell'Asia. È noto che anche la letteratura melodrammatica si è col Mozart impadronito di questo tema, ma l'esempio di chi col solo suo volere costringe altri al ballo, io non l'ho saputo trovare nelle tradizioni popolari.

Il Nostro si fa pure eco delle leggende così comuni in questo genere di scritture di uomini cui una vita purissima, dedicata alla penitenza, non basta ad assicurare contro gli intrighi del diavolo. Ricorderò, fra l'altre, l'avventura di Giovanni anacoreta che un demone schernisce, assumendo le parvenze di bella donna. Ma già è ben nota la predilezione dello spirito delle tenebre pei travestimenti muliebri, i quali gli permettono, di tentare la castità dei penitenti, che la misericordia divina abbandona.

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1 Contes populaires de Lorraine, vol. II, p. 209 e nota comp.

• Grimm, Kinder- und Hausmärchen, Göttingen, 3a ed. 1856, ÌII,
3 Wolf, Deutsche Märchen und Sagen, No 24.

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4 Contes de la Haute-Bretagne (coll. Sébillot, I, N° 7). Luzel, Contes populaires de Basse-Bretagne, Parigi, 1887, III, 9. Cfr. pure III, 315-418. Henry Carnoy, Contes français, Parigi, 1885, p. 181 e 285. Recueil de contes populaires de la Kabylie ecc. recueillis et traduits par J. Rivière, Parigi, 1882, p. 91.

Indian Antiquary t. IV, 1875, p. 54. Si veggano inoltre i Nouveaux contes berbères editi da René Basset, Parigi, 1897, p. 290, con numerosi riscontri. È appena il caso d'accennare ai portenti che i miti greci raccontano del dio Pane e di Orfeo. L'eroe Sigurd della saga dei Voelsung ed Obéron in Huon de Bordeaux compiono pure simili meraviglie.

Intorno alla diffusione di questa leggenda cfr. le Altfranz. Legenden edite dal Tobler (Jahrbuch f. rom. u. engl. Litt. 1866, p. 405 sgg.), Paul Meyer (Notices et extraits XXXIII, 145 sgg.), Bozon op. cit. p. 297 e nota compar. Passavanti l. c. p. 209; che si ispira alle Vitae patruum e per le origini orientali, D'Ancona, La leggenda di Sant Albano, Bologna, 1865, p. 40 sgg.

Morti e diavoli.

La morte è, secondo il concetto medievale, trasformazione di una in altra vita e non già in una vita trascendentale in cui nulla più resti del vecchio Adamo, bensì in nuova forma di esistenza umana, regolata da speciali leggi. L'anima che si libra nell'eternità è qualcosa di troppo indefinito per la cultura del tempo; come Alessandro e gli altri eroi dell'antichità classica appaiono, nell' epopea francese, baroni feudali, con costumanze del tempo e seguito di prelati, che cantano la messa, come nelle grandi tele dei sommi artisti del Rinascimento italiano, Gesù, la Vergine, gli apostoli e i farisei sono vestiti all'italiana od alla spagnola, secondo la moda del Cinquecento, così la fantasia dell'età del Nostro presenta i morti in parvenza di vivi e li fa scoperchiare gli avelli e visitare i cari ammonendoli, confortandoli, spaventandoli. Fra le due esistenze, quella di carne e quella di ombra, continui sono i contatti e questi sarebbero di sommo conforto ai viventi, se non terrificassero le prove delle pene d'inferno e le apparizioni di dannati e di diavoli. 1

Vuole la misericordia divina che il giusto si addormenti placidamente nel bacio del Signore e che il peccatore sia avvertito dell'avvicinarsi dell'ultima ora, perchè abbia tempo di pentirsi. Però se anche a questa voce la sua coscienza resta sorda o ribelle, gran fracasso di catene e l'abbuiarsi dell'aria e voci alte e fioche annunciano l'arrivo degli spiriti infernali, qual tempesta che tutto desola e distrugge. L'es. 444 dimostra che 'morte subita moriuntur aliquando peccatores in actu peccandi', ma dopo però che ogni divino consiglio rimase senza effetto. S. Damiano, cui l'A. attinge, racconta infatti di una montagna, vicina all'inferno che mandava gran fiamme per avvertire che qualche peccatore stava per morire. Certo conte vede tal fenomeno, spiega di che si tratta e poi, malgrado il severo avvertimento, va a peccare e la morte lo colpisce fra le ebbrezze dei sensi. Questo narra pure Cesario di Heisterbach, questo ripete con due esempi notevoli Elinando. Nel primo s'indica soltanto che in Sicilia 'quidam religiosus ab Hierosolymis rediens 'viene

1 Fra i morti e i vivi, se si vuol prestar fede al Mapes (1. c. p. 168) potrebbero pure correre più intime relazione 'Miles quidam Britanniae minoris uxorem suam amissam diuque ploratam a morte sua, in magno faeminarum cœtu de nocte reperit in convalle solitudinis amplissimae. Miratur et metuit, et cum redivivam videat quam sepelierat, non credit oculis, dubius quid a fatis agatur. Certo proponit animo rapere, ut de rapta vere gaudeat, si vere videt, vel a fantasmate fallatur ne possit a desistendo timiditatis argui. Rapit eam igitur, et gavisus est ejus per multos annos conjugio, tam jocunde, tam celebriter, ut prioribus, et ex ipsa suscepit liberos, quorum hodie progenies magna est, et filii mortuae dicuntur ... Cfr. poi distinct. II, c. 13.

a sapere esservi 'loca flammas eructantia' e che ivi sono uscite od entrate dell'inferno. Nel secondo, la narrazione corre come nel già citato esempio del Nostro: Quidam princeps Salernitanus, cum quadam die prospexisset de monte Vesuvio flammas erumpere, protinus ait': 'Procul dubio aliquis sceleratus dives in proximo moriturus est et in infernum descensurus.' Per questo però non mette la testa a partito: 'superveniente proxima nocte, dum idem princeps securus cum meretrice concumberet, expiravit'.1 Tutto nella vita è vanità. Raccontano le cronache, dice Arnoldo, che un re di Damasco fece, sentendosi presso a morte, venire al suo letto il portabandiera e gli disse: tu che già mi precedevi nelle battaglie e nei trionfi, va e dì a tutti che il gran re abbandona la terra e che di tante ricchezze non può portare seco neppur il lenzuolo che lo copre. A questo racconto, che il ricordo di Damasco può far ritenere ispirato dall'Oriente, altri ne seguono tratti per dichiarazione dell'A. — dal Dono timoris e dalla Disciplina clericalis e contengono lamenti di principi, cui la morte eguaglia ai più miserabili sudditi, considerazioni di filosofi sul cadavere di Alessandro e la memoria delle ultime parole della regina di Navarra.2

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Chi mai potrà infrangere la dura legge della morte? La leggenda di Barlaam e di Giosafat - per cui Arnoldo ebbe forse a consultare lo Speculum historiale suggerisce il detto di quel giovane che si fa frate, poichè suo padre

pur essendo re, non ha trovato il modo di scacciare la tristissima dea dai suoi stati. 3

1 Si cfr. anche l'es. 344 che il Nostro trae da Cesario. Qui la montagna, prima indeterminata, chiamasi Mongibello ed il conte Cirtugia, il quale, oltre al peccato di lussuria aveva pur quello dell'avarizia. Helin. (ed. Migne c. 926. 968). Cfr. P. Damiano (ed. Parigi, 1663, p. 83. 191). Si vegga l'imitazione letterale del Nostro e di Elinando. Narra S. Pietro Damiano: questo 'princeps salernitanus ... cum procul aspexisset quadam die de praedicto monte Vesuvio piceas, atque sulphureas repente flammas erumpere, protinus ait: Proculdubio sceleratus aliquis dives in proximo moriturus est, atque ad inferos descensurus. Sed, ô caeca mens reprobi hominis, immo terribile super nos judicium Conditoris! superveniente siquidem proxima nocte, dum securus cum meretrice concumberet, expiravit ...

es. 415, 446, 447, 457. Sostanzialmente la storia della bandiera è quella riferita dai Gesta Roman. (1. c. p. 285, cap. IX) ad Alessandro Magno In fine vero vitae... vexillum per totum imperium portari fecit.... Vedi inoltre: Della grande saviezza del re Saladino ... E poi che'l detto re Saladino si sentì venire a morte; fece tôrre uno sciugatoio e fecelo porre in eun'una lancia, come una bandiera, e andare per tutta la città, dicendo: Saladino fa noto a tutti, che di tutto 'l suo reame e d'ogni sua ricchezza e tesoro, niuna altra cosa ne porta, se non questo pannuccio.' Corona de' Monaci, Prato, Guasti, 1862. Cfr. Köhler, Kleinere Schriften II, 565.

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es. 80. Cfr. Vitry (ed. Crane p. 184) in cui si indicano varî riscontri.

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